David Bowie. L'uomo che cadde sulla Terra

di Massimo Lorito 11/01/2016 ARTE E SPETTACOLO
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David Bowie, il marziano, l’Uomo che cadde sulla terra, da un altro mondo, l’uomo delle stelle, l’uomo dagli occhi differenti, il camaleonte, il Duca Bianco. Quante immagini rimangono ben nitide negli occhi dei milioni di fan di Bowie che oggi lo ricordano e lo piangono. Un susseguirsi di flash, di clip, di film, di travestimenti, di pose e abbigliamento che lo rendono, senza dubbio, l’artista pop più presente nell’immaginario pubblico e culturale del dopoguerra.

Quando qualche settimana fa era uscito il suo ultimo singolo, Lazarus, parte dell’album Black star. Nel video si assisteva ad una rappresentazione, sfuggente e malinconica di una risurrezione che tale non era, non poteva essere, neppure per un personaggio dalle infinite e prismatiche risorse quale Bowie è stato. Solo una messa in scena, la messa in scena definitiva che il sessantanovenne artista aveva allestito, da par suo, per la sua imminente dipartita.

Dotato di straordinarie doti canore e musicali, una timbrica vocale sottile ma allo stesso tempo lirica, che gli permettevano di passare dal cantato punk-rock alle melodie quasi cantautorati con estrema disinvoltura, facevano il pari con la sua proverbiale e ben studiata ritrosia alle interviste, al diffondere notizie sulla sua vita privata. La notizia della malattia era stata tenuta segreta, quasi, fino alla fine. Ennesimo dei tanti fatti eclatanti di cui Bowie è stato capace nella sua vita e nella sua carriera che si sono, in pratica, sovrapposte. Una carriera che lo ha visto, altro primato, artista sensibile anche agli affari, quotandosi in borsa. Eppure il suo marchio creativo non lo ha depositato a Wall Street una volta per tutte, perché in realtà non ne esisteva uno soltanto. L’implacabile curiosità intellettuale e artistica del suo genio ce lo ha restituito in miriadi di travestimenti, di progetti, di contaminazioni, di maschere, di mimetizzazioni, tutte segnate da un gusto e da un fascino d’altri tempi.

Musicalmente ha spaziato, il termine spaziato è quanto mai appropriato riferendosi al Duca Bianco, dal folk psichedelico degli inizi al glam rock, dallo space rock, casomai questo genere sia effettivamente esistito fu lui a crearlo, alle contaminazioni etniche ed elettroniche della fine degli anni Settanta, memorabile la trilogia berlinese, Low, Lodger e Heroes; fino alle melodie anni 80, mai commerciali e mai banali. Negli ultimi anni, anche se già ne sono trascorsi venti da quando uscì nel 1995, si possono citare il bellissimo album Outside, scrigno nero di inquietudini e desideri inconfessabili e gli ultimi due The Next e il già citato Black Star, che diventa così il suo testamento.

Bowie si è divertito negli anni a creare alter ego di indubbio e originalissimo fascino, immedesimandosi in alieni che precipitavano sulla Terra o in personaggi come il celeberrimo Ziggy Stardust, che assunse le fattezze di un profeta del rock, fino aimaghi e ai personaggi decadenti delle sue apparizioni sul grande schermo: Labyrinth e Miriam si sveglia a Mezzanotte.

La sua eredità artistica rimarrà incommensurabile e a disposizione di tutti anche se ad oggi non si scorgono “eredi”. Impossibile scorgerne, sia per l’assoluta originalità di Bowie, sia per la povertà creativa degli ultimi anni in fatto di musica.

Il vuoto che lascia la perdita di una luce creativa così folgorante non si rimarginerà in breve anche perché personaggi così notevoli, Lou Reed, Pino Daniele, Joe Cocker e tanti altri che ci hanno lasciato, entrano fin nell’intimità delle nostre vite, alimentando sogni, emozioni, visioni che poi si trasformano nella carne viva delle persone.

Eppure si può dire con rispetto e ammirazione che David Bowie, l’uomo che una volta precipitò sulla terra, la sua missione l’ha compiuta perfettamente fino in fondo, fino alla fine.

Oggi, lunedì 11 gennaio 2016, è riuscito a ritornare alla base, dovunque essa si trovi tra l’infinita luce delle stelle.  

 

 

 


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